רקע
יוסף אלמנצי
שירים באיטלקית מתוך "הגיון בכינור"
Phedri Fabula X.

Lupus et Vulpis, Judice Simio

Quicumque turpi fraude semel innotuit,

Etiamsi verum dicit, amittit fidem.

Hoc adtestatur brevis Aesopi Fabula.

Lupus arguebat Vulpem furti crimine:

Negabat illa, se esse culpae proximam.

Tunc judex inter illos sedit Simius:

Uterque caussam cum perorassent suam,

Dixisse fertur Simius Sententiam:

Tu non videris perdidisse quad petis;

Te credo surripuisse, quad pulchre negas.


Sonetto del Manara

Alla Tomba d' Alessandro Mango.


Apritemi quest' Urna. Ahì qual rinserra

Maëstosa memoria un sasso muto!

O dell' estinto fulmine di guerra

Ceneri incoronate, io vi saluto!

Il guardo mio quì si confonde ed erra

Nè più discerne il Vincitor temuto.

Ahi quanto poca e verminosa terra

I sospiri dell' Asia ebbe in tributo.

Che se per lui già di gravosi incarchi

German le basi, or un obblio profondo

Copre sotterra i Re superbi e gli archi.

Ond' io raccolto il cenere infecondo

Alzando il braccio esclamerò: Monarchi,

Ecco in un pungo il Vincitor del mondo. –


Sonetto 182 del Filicaja.

Ai peccatori


Verrà, verrà bentosto, udite,udite\`;

Verrà 'l tremendo amaro giorno, o stolti,

Quando fia che i cadaveri sepolti

L' orribil tromba al gran giudizio invite;


E al proprio spirto poi si rimatite

La già vedova salma; e al Ciel rivolti,

Di vita il giusto, e’l reo, di morte ascolti

La gran sentenza in voci alte a scolpite.


Deh pria che la fatale alba si svegli,

Fate con Dio ragion de’falli vostri:

Dorma in Dio vostra fede e l’opra vegli.


Che qual nelle gramaglie atra, e negli ostri

Chiara la luce appar; tal fia che anch’egli

Fosco agli empj, e sereno ai buon si mostri.



Sonetto 194 dello Stesso

Atto di contrizione

Signor, peccai: ma se tremante e fioco

Chieggio äita e mi pento, e se d’amari

Fonti non son questi miei lumi avari;

Poco è questo, e se’l cuor fo in pezzi, è poco.


Fei l' uom (dicesti) e'l disfarò, nè a gioco

Il dicesti; e gli ostacoli e i ripari

Rotti allor furo, e cavalcaro i mari

Gli eccelsi gioghi e mancò all' acque il loco.


Forza è dunque, che'l ferro del dolore

Il cor mi franga, e tanto il triri e pesti

Che non possa altri dir: Fu questi un core

Ed uom novello, allor fia ch’io detesti

L’uom veccio; e figlio del tuo santo Amore,

Cuor nuovo e nuovo spirto in me si desti.


Sonetto del Mazza

Sentomento e comprension della morte.


Ben or ti sento, or ti comprendo, o dura

Di che debbo morir, Morte, ti sento.

Il tremito, l' angoscia e lo spavento

Inver che sei tu Morte ahi! m’assicura -

S' ajuta invan, calcitra invan natura

Co l’innato al disfarsi abborimento.

Dal freddo viso e di colori spento

L' imagin rendo de la tua figura.

Tutto dinanzi a me spare il creato;

E sol m’accenna da le nere porte

L' implacabil vendetta e 'l mio peccato.

Oh tardi paventata eterna sorte,

Qual giugni affano al mio doglióso stato!

Ben or ti sento, or ti comprendo, o Morte![21]


Sonetto LX del Petrarca

Io son sì stanco sotto 'l fascio antico

Delle mie colpe e dell' usanza ria,

Ch' i' temo forte di mancar tra via,

E di cader in man del mio nemico.


Ben venne a dilivrarmi un grande amíco,

Per somma ed ineffabil cortesía;

Sì, ch' a mirarlo indarno m' affatico.


Ma la sua voce ancor quaggiù rimbomba:

O voi che travagliate, ecco’l cammino;

Venite a me; se’l passo altri non serra.


Qual grazia, qual amore, o qual destíno

Mi darà penne in guise di colomba,

Ch' i' mi riposi, e l’evimi da terra?



Amalthei Hieronymi

Epigramma.


Lumine Acon dextro, capta est Leonilla sinistro;

Et poterai Forma vincere uterque Deos.

Parve puer, lumen, quod habes, eocede Sorori;

Sic tu caecus Amor, sic erit illa Venus.


Ejusdem Fabula XX.

Mons parturiens.


Mons parturibat, gemitus immanes ciens;

Eratque in terries maxima expectatio.

At ille murem peperit. Hoc scriptum est tibi,

Qui magna quum minaris, exticas nihil.



Patrarca-Rime

Sentina IX.

Misero, Tanto più brama la morte, quanto

Più sa ch’ei fu content e felice.

Mia benigna fortuna, e’l viver lieto,

I chiari giorni, e le tranquille motti.

E i soavi sospiri, e 'l dolce stile,

Che solea risonar in versi e’n rime;

Volti subitamente in dogila e 'n pianto,

Odiar vita mi fanno, e bramar morte.


Crudele, acerba, inesorabil Morte,

Cagion mi dai di mai non esse lieto;

Ma di menar tutta mia vita in pianto.

E i giorni oscuri, e le dogliose notti.

I miei gravi sopir non vanno in rime;

E 'l mio duro martir vince ogni stile.


Ov' è condotto il mio amoroso stile?

A parlar d’ira, a ragionar di morte.

U' sono i versi, u' son giunte le rime

Che gentil cor udia pietoso e lieto?

Ov' è’l favoleggiar d’amor le notti?

Or non parl’io, nè penso altro, che pianto.


Già mi fu col desir sì dolce il pianto,

Che condia si dolcezza ogni agro stile.

E vegghiar mi facea tutte le notti.

Or m' è 'l pianger amaro più che morte,

Non sperando mai 'l guardo onesto e lieto,

Alto soggetto alle mie basse rime.


Chiaro segno Amor pose alle mie rime

Dentro a' begli occhi, ed or l’ha posto in pianto,

Con dolor rimembrando il tempo lieto.

Ond' io vo col pensier cangiando stile,

E ripregando te, pallida Morte,

Che mi fottragghi a sì penose notti.


Fuggito è 'l sonno alle mie crude notti,

E 'l suono usato alle mie roche rime,

Che non sanno trattar altro che morie

Così è' 'l mio cantar converso in pianto.

Non ha’l regno d' Amor sì vario stile,

Ch' è tanto or tristo, quanto mai fu lieto.


Nessun visse giammai più di me lieto:

Nessum vive più tristo e giorni, e notti;

E doppiando 'l dolor, doppia lo stile,

Che trae dal cor sì lagrimose rime.

Vissi di speme: or vivo pur di pianto;

Nè contra Morte spero altro che morte.


Morte m'ha morte; e sola può far morte,

Ch' i' torni a riveder quel viso lieto,

Che piacer mi facea i sospiri, e’l pianto,

L’aura dolce, e la pioggia alle mie notti;

Quando i pensier eletti tessea in rime,

Amor alzando il mio debile stile.



Or avess' io un sì pietoso stile,

Che L’aura mia potesse torre a morte,

Com' Euridice Orfèo sua senza rime:

Ch' i' viverei ancor più che mai lieto.

S’eser non può; qualcuna d' este notti

Chiuda omai queste due fonti di pianto.


Amor, i' hö molti e molt' anni pianto

Mio grave danno in doloroso stile;

Nè da te spero mai men fere notti:

E però mi son mosso a pregar Morte,

Che mi tolga di qui, per farmi lieto

Ov' è colei, ch' i' canto e piango in rime.


Se sì alto pon gir mie stanche rime, Ch’aggiungan lei, ch’è fuor d’ira e di panto

E fa 'l ciel or di sue belleze lieto;

Ben riconoscerà 'l mutato stile,

Che già forse le piacque, anzi che Morte

Chiaro a lei giorno, a me fesse atre notti.


O voi, che sospirate a miglior notti;

Ch' ascoltate d' Amore, o dite in rime;

Pregate non mi sia più sorda Morte,

Porto delle miserie, e fin del pianto:

Muti una volta quel suo antico stile,

Ch' ogni uom attrista, e me può far sì lieto.


Far mi può lieto in una, o'n poche notti:

E’n apro stile, e’n angosciose rime

Prego che 'l pianto mio finisca Morte.



Anacreonte-Ode XI.

Traduzione Caselli

Soprase se stesso


Mi dicon le donzelle:

Sei vecchio, Anacreonte;

Specchiati, e la tua fronte

Priva verdai del crin.


Se caddero dal mio capo

I crini, o se di loro

Alcun restò, l’ignoro:

Saperlo a me che val?


So che più lice a un vecchio

L’ore condur beate,

Quando più il tien l’etate

Presso all' estremo dì. –


Vittorelli-Anacreontica.

Non t’accostare all' Urna

Che il Cener mio rinserra,

Questa pietosa terra,

E' sacra al mio dolor.


Odio gli affanni tuoi;

Ricuso i tuoi Giacinti.

Che giovano agli estinti,

Due lagrime e due fior.


Empia! Dovevi allora

Porgermi un fil d’aita,

Quando trae la vita

Nell' ansia e nei sospir.


A che d' inutil pianto

Assordi la foresta?

Rispetta un ombra mesta

E lasciala dormir.


Chyrographum Francisci Petriarchae

Epitaphium

Invevi requiem: spes et fortuna valete;

Nil mihi vobiscum est, ludite nunc alios. –


Young-L'amicizia-Notte II

Traduzione Loschi.

Val più di regio soglio

La tenera amistà

Senza di lei, incognita

E' a l’uom felicità.

Ah! Quanto un rege è poverto

Se non posiede un cor:

Su l' Universo ei domini

Sarà infelice ongor.

Sceso dal Trono eleggomi

Catena e servitù,


Purchè un Amico sieguami

E seco alma virtù. –

Sopra un' amante che piange la

Morte della sua Fille alla Tomba

Questa è la Tomba oh Dio!

Che in sè racchiude e tiene

Quelì adorato bene,

Ch’ongor vivea con me.

Spenta d’amor la speme

Di più vederci insieme,

Ti giuro, che gaimmai

Mi scorderò di te.

Barbara e cruda morte,

Che tolse dal mio canto

Quella che amava tanto,

L' idolo del mio cor.

Immerso in tante pene

Per te, dolce mio bene,

Ti guiro, che giammai

Mi scorderò di te.

Non troverò più pace,

Non troverò più amore,

Questo mio afflitto core

Per te si serberà.

Ognor mesto e dolente

Te sola avrò presente;

Ti guiro, che giammai

Mi scoredrò di te.

Andrò per vie remote

Volgendo lenti i passi

Chiedendo a' tronchi, a' sassi

La Fille mia dov' è?

Fra' vepri solitari,

Fra' procellosi mari,

Ti guiro, che giammai

Mi scorderò di te.

Smanioso, incerto il piede,

La mente delirante,

La lagrime mie tante

Cogliera il suolo allor.

Bench’esule ed aflitto,

Per te sì derelitto,

Ti giuro, che giammai

Mi scorderò di te.

Non odi il mio lamento

Imagine adorata;

Alma più tormentata

Di questa mia non v’è.

Ah, fosse questo oh Dio!

L' ultimo giorno mio;

Ti giuro, che giammai

Mi scorderò di te.


Sovente mi verdai

A questa Tomba intorno,

Bramando il solo giorno

Con te di ritornar

Allor vedrai 'l tuo Firsi

Per te rinvigorirsi;

Vedrai… sì, Allor vedrai

Se mi scordai di te.

Affretta dunque, o Cielo

Il punto sospirato;

L' anelito bramato,

Che mi consoli alfin.

E l' alme nostre allora

Saran contente ognora;

Ah si… che allor vedrai,

Se mi scordai di te. –


Alcune fra le sentenze di

Clemente Bondi

Hai servo a te il danaro

Se bene usar ne sai;

Se nò, pardon tu l’hai.

Piccol prestito un Amico,

Ed un grande fa un nemico.

O misero o felice,

L’uomo innocente e forte

Nè bramar deve, nè temer la morte.

Cieco è l' occhio se l’animo è distrato.

Chi è presto a giudicar, presto si piente.

Si ammirano i talenti,

Si loda la beltà,

Si onorala virtù

Ma si ama la bontà.

Quel povero che langue

Senza soccorso alcuno,

Ignudo, egro e digiuno,

Ha sulla fronte seritto:

“Son dei ricchi un delitto”

Richezze, onor, piaceri,

Son beni menzogneri;

Tromentano brameti,

Deludono sperati,

Non saziano ottenuti,

Desolano perduti.

Se vivere con gl' innocenti vuoi,

Cercar la solitudine tu puoi. –

L’uomo che ostenta nn ricco fasto, ha spesso

Tutta fuori di sè la sua grandezza;

L' uom virtuoso l’ha dentro sè stesso.

Quell' avaro che il suo serigno

Nè toccar osa egli mai,

E ognor sopra vi tien gli occhi

A impedir ch' altri lo tocchi,

Può ben dirsi senza sbaglio

Un eunuco alla guardia del serraglio.

Un prodigo che piglia

Oro ad asura, o a prestito il riceve,

Ad un ghiotto somiglia

Che mangia un cibo saporito e greve,

E contento del gusto che gli dà;

Allà colica poi

Pensar non suol, che a digerirlo avraà –

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