Lupus et Vulpis, Judice Simio
Quicumque turpi fraude semel innotuit,
Etiamsi verum dicit, amittit fidem.
Hoc adtestatur brevis Aesopi Fabula.
Lupus arguebat Vulpem furti crimine:
Negabat illa, se esse culpae proximam.
Tunc judex inter illos sedit Simius:
Uterque caussam cum perorassent suam,
Dixisse fertur Simius Sententiam:
Tu non videris perdidisse quad petis;
Te credo surripuisse, quad pulchre negas.
Alla Tomba d' Alessandro Mango.
Maëstosa memoria un sasso muto!
O dell' estinto fulmine di guerra
Ceneri incoronate, io vi saluto!
Nè più discerne il Vincitor temuto.
Ahi quanto poca e verminosa terra
I sospiri dell' Asia ebbe in tributo.
Che se per lui già di gravosi incarchi
German le basi, or un obblio profondo
Copre sotterra i Re superbi e gli archi.
Ond' io raccolto il cenere infecondo
Alzando il braccio esclamerò: Monarchi,
Ecco in un pungo il Vincitor del mondo. –
Ai peccatori
Quando fia che i cadaveri sepolti
L' orribil tromba al gran giudizio invite;
La già vedova salma; e al Ciel rivolti,
Di vita il giusto, e’l reo, di morte ascolti
La gran sentenza in voci alte a scolpite.
Fate con Dio ragion de’falli vostri:
Dorma in Dio vostra fede e l’opra vegli.
Chiara la luce appar; tal fia che anch’egli
Fosco agli empj, e sereno ai buon si mostri.
Atto di contrizione
Signor, peccai: ma se tremante e fioco
Chieggio äita e mi pento, e se d’amari
Fonti non son questi miei lumi avari;
Poco è questo, e se’l cuor fo in pezzi, è poco.
Il dicesti; e gli ostacoli e i ripari
Rotti allor furo, e cavalcaro i mari
Gli eccelsi gioghi e mancò all' acque il loco.
Il cor mi franga, e tanto il triri e pesti
Che non possa altri dir: Fu questi un core
Ed uom novello, allor fia ch’io detesti
L’uom veccio; e figlio del tuo santo Amore,
Cuor nuovo e nuovo spirto in me si desti.
Sentomento e comprension della morte.
Di che debbo morir, Morte, ti sento.
Il tremito, l' angoscia e lo spavento
Inver che sei tu Morte ahi! m’assicura -
S' ajuta invan, calcitra invan natura
Co l’innato al disfarsi abborimento.
Dal freddo viso e di colori spento
L' imagin rendo de la tua figura.
Tutto dinanzi a me spare il creato;
E sol m’accenna da le nere porte
L' implacabil vendetta e 'l mio peccato.
Oh tardi paventata eterna sorte,
Qual giugni affano al mio doglióso stato!
Ben or ti sento, or ti comprendo, o Morte![21]
Delle mie colpe e dell' usanza ria,
Ch' i' temo forte di mancar tra via,
E di cader in man del mio nemico.
Per somma ed ineffabil cortesía;
Sì, ch' a mirarlo indarno m' affatico.
O voi che travagliate, ecco’l cammino;
Venite a me; se’l passo altri non serra.
Mi darà penne in guise di colomba,
Ch' i' mi riposi, e l’evimi da terra?
Epigramma.
Et poterai Forma vincere uterque Deos.
Parve puer, lumen, quod habes, eocede Sorori;
Sic tu caecus Amor, sic erit illa Venus.
Mons parturiens.
Eratque in terries maxima expectatio.
At ille murem peperit. Hoc scriptum est tibi,
Qui magna quum minaris, exticas nihil.
Sentina IX.
Misero, Tanto più brama la morte, quanto
Più sa ch’ei fu content e felice.
Mia benigna fortuna, e’l viver lieto,
I chiari giorni, e le tranquille motti.
E i soavi sospiri, e 'l dolce stile,
Che solea risonar in versi e’n rime;
Volti subitamente in dogila e 'n pianto,
Odiar vita mi fanno, e bramar morte.
Cagion mi dai di mai non esse lieto;
Ma di menar tutta mia vita in pianto.
E i giorni oscuri, e le dogliose notti.
I miei gravi sopir non vanno in rime;
E 'l mio duro martir vince ogni stile.
A parlar d’ira, a ragionar di morte.
U' sono i versi, u' son giunte le rime
Che gentil cor udia pietoso e lieto?
Ov' è’l favoleggiar d’amor le notti?
Or non parl’io, nè penso altro, che pianto.
Che condia si dolcezza ogni agro stile.
E vegghiar mi facea tutte le notti.
Or m' è 'l pianger amaro più che morte,
Non sperando mai 'l guardo onesto e lieto,
Alto soggetto alle mie basse rime.
Dentro a' begli occhi, ed or l’ha posto in pianto,
Con dolor rimembrando il tempo lieto.
Ond' io vo col pensier cangiando stile,
E ripregando te, pallida Morte,
Che mi fottragghi a sì penose notti.
E 'l suono usato alle mie roche rime,
Che non sanno trattar altro che morie
Così è' 'l mio cantar converso in pianto.
Non ha’l regno d' Amor sì vario stile,
Ch' è tanto or tristo, quanto mai fu lieto.
Nessum vive più tristo e giorni, e notti;
E doppiando 'l dolor, doppia lo stile,
Che trae dal cor sì lagrimose rime.
Vissi di speme: or vivo pur di pianto;
Nè contra Morte spero altro che morte.
Ch' i' torni a riveder quel viso lieto,
Che piacer mi facea i sospiri, e’l pianto,
L’aura dolce, e la pioggia alle mie notti;
Quando i pensier eletti tessea in rime,
Amor alzando il mio debile stile.
Or avess' io un sì pietoso stile,
Che L’aura mia potesse torre a morte,
Com' Euridice Orfèo sua senza rime:
Ch' i' viverei ancor più che mai lieto.
S’eser non può; qualcuna d' este notti
Chiuda omai queste due fonti di pianto.
Mio grave danno in doloroso stile;
Nè da te spero mai men fere notti:
E però mi son mosso a pregar Morte,
Che mi tolga di qui, per farmi lieto
Ov' è colei, ch' i' canto e piango in rime.
Se sì alto pon gir mie stanche rime, Ch’aggiungan lei, ch’è fuor d’ira e di panto
E fa 'l ciel or di sue belleze lieto;
Ben riconoscerà 'l mutato stile,
Che già forse le piacque, anzi che Morte
Chiaro a lei giorno, a me fesse atre notti.
Ch' ascoltate d' Amore, o dite in rime;
Pregate non mi sia più sorda Morte,
Porto delle miserie, e fin del pianto:
Muti una volta quel suo antico stile,
Ch' ogni uom attrista, e me può far sì lieto.
E’n apro stile, e’n angosciose rime
Prego che 'l pianto mio finisca Morte.
Traduzione Caselli
Soprase se stesso
Sei vecchio, Anacreonte;
Specchiati, e la tua fronte
Priva verdai del crin.
I crini, o se di loro
Alcun restò, l’ignoro:
Saperlo a me che val?
L’ore condur beate,
Quando più il tien l’etate
Presso all' estremo dì. –
Non t’accostare all' Urna
Che il Cener mio rinserra,
Questa pietosa terra,
E' sacra al mio dolor.
Ricuso i tuoi Giacinti.
Che giovano agli estinti,
Due lagrime e due fior.
Porgermi un fil d’aita,
Quando trae la vita
Nell' ansia e nei sospir.
Assordi la foresta?
Rispetta un ombra mesta
E lasciala dormir.
Epitaphium
Invevi requiem: spes et fortuna valete;
Nil mihi vobiscum est, ludite nunc alios. –
Traduzione Loschi.
Val più di regio soglio
La tenera amistà
Senza di lei, incognita
E' a l’uom felicità.
Ah! Quanto un rege è poverto
Se non posiede un cor:
Su l' Universo ei domini
Sarà infelice ongor.
Sceso dal Trono eleggomi
Catena e servitù,
E seco alma virtù. –
Sopra un' amante che piange la
Morte della sua Fille alla Tomba
Questa è la Tomba oh Dio!
Che in sè racchiude e tiene
Quelì adorato bene,
Ch’ongor vivea con me.
Spenta d’amor la speme
Di più vederci insieme,
Ti giuro, che gaimmai
Mi scorderò di te.
Barbara e cruda morte,
Che tolse dal mio canto
Quella che amava tanto,
L' idolo del mio cor.
Immerso in tante pene
Per te, dolce mio bene,
Ti guiro, che giammai
Mi scorderò di te.
Non troverò più pace,
Non troverò più amore,
Questo mio afflitto core
Per te si serberà.
Ognor mesto e dolente
Te sola avrò presente;
Ti guiro, che giammai
Mi scoredrò di te.
Andrò per vie remote
Volgendo lenti i passi
Chiedendo a' tronchi, a' sassi
La Fille mia dov' è?
Fra' vepri solitari,
Fra' procellosi mari,
Ti guiro, che giammai
Mi scorderò di te.
Smanioso, incerto il piede,
La mente delirante,
La lagrime mie tante
Cogliera il suolo allor.
Bench’esule ed aflitto,
Per te sì derelitto,
Ti giuro, che giammai
Mi scorderò di te.
Non odi il mio lamento
Imagine adorata;
Alma più tormentata
Di questa mia non v’è.
Ah, fosse questo oh Dio!
L' ultimo giorno mio;
Ti giuro, che giammai
Mi scorderò di te.
A questa Tomba intorno,
Bramando il solo giorno
Con te di ritornar
Allor vedrai 'l tuo Firsi
Per te rinvigorirsi;
Vedrai… sì, Allor vedrai
Se mi scordai di te.
Affretta dunque, o Cielo
Il punto sospirato;
L' anelito bramato,
Che mi consoli alfin.
E l' alme nostre allora
Saran contente ognora;
Ah si… che allor vedrai,
Se mi scordai di te. –
Clemente Bondi
Hai servo a te il danaro
Se bene usar ne sai;
Se nò, pardon tu l’hai.
Piccol prestito un Amico,
Ed un grande fa un nemico.
O misero o felice,
L’uomo innocente e forte
Nè bramar deve, nè temer la morte.
Cieco è l' occhio se l’animo è distrato.
Chi è presto a giudicar, presto si piente.
Si ammirano i talenti,
Si loda la beltà,
Si onorala virtù
Ma si ama la bontà.
Quel povero che langue
Senza soccorso alcuno,
Ignudo, egro e digiuno,
Ha sulla fronte seritto:
“Son dei ricchi un delitto”
Richezze, onor, piaceri,
Son beni menzogneri;
Tromentano brameti,
Deludono sperati,
Non saziano ottenuti,
Desolano perduti.
Se vivere con gl' innocenti vuoi,
Cercar la solitudine tu puoi. –
L’uomo che ostenta nn ricco fasto, ha spesso
Tutta fuori di sè la sua grandezza;
L' uom virtuoso l’ha dentro sè stesso.
Quell' avaro che il suo serigno
Nè toccar osa egli mai,
E ognor sopra vi tien gli occhi
A impedir ch' altri lo tocchi,
Può ben dirsi senza sbaglio
Un eunuco alla guardia del serraglio.
Un prodigo che piglia
Oro ad asura, o a prestito il riceve,
Ad un ghiotto somiglia
Che mangia un cibo saporito e greve,
E contento del gusto che gli dà;
Allà colica poi
Pensar non suol, che a digerirlo avraà –
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מהו פרויקט בן־יהודה?
פרויקט בן־יהודה הוא מיזם התנדבותי היוצר מהדורות אלקטרוניות של נכסי הספרות העברית. הפרויקט, שהוקם ב־1999, מנגיש לציבור – חינם וללא פרסומות – יצירות שעליהן פקעו הזכויות זה כבר, או שעבורן ניתנה רשות פרסום, ובונה ספרייה דיגיטלית של יצירה עברית לסוגיה: פרוזה, שירה, מאמרים ומסות, מְשלים, זכרונות ומכתבים, עיון, תרגום, ומילונים.
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